Il modello del tempio romano trae la sua origine dal quello greco dal quale si distingue per la presenza di alcune caratteristiche costruttive specifiche, spesso legate alla tradizione etrusca. Si ergeva su un podio che serviva per elevarlo ed esaltarlo, al quale si arrivava salendo una ripida scalinata di ingresso. La fronte, cioè il lato di accesso, era quello più riccamente decorato. Lo spazio più importante era l'ambiente in cui si conservava la statua della divinità, detto cella (il nàos dei greci) al quale si accedeva dopo aver attraversato il pronao (lo spazio prima del nàos). Il tempio romano era sempre copertda un tetto, mentre in quello greco, in alcuni casi, la cella poteva essere scoperta (allora si dice "ipetrale"). I riti più importanti non erano svolti all'interno, dove gli spazi sono piccoli, ma all'esterno davanti alla fronte, dove si trovava l'altare per i sacrifici e dove la fronte stessa, riccamente decorata fungeva da quinta scenografica.
La maggior parte delle attività che gli uomini realizzano nella loro vita porta all'accumulo di materiali: scaricare gli scarti di un pasto, costruire un muro od un pavimento, fare un terrapieno per edificare un palazzo,… Questi accumuli "strati" si sommano uno sull'altro ed il più recente si colloca sempre sopra quello immediatamente più antico. Lo scavo archeologico non è altro che l'asportazione di questi strati di materiale (detti unità stratigrafiche) in senso cronologico inverso a come si sono depositati: si toglie quindi il più recente per passare a quello immediatamente più antico. La ricostruzione della sequenza degli strati consente di ricostruire quella delle attività che si sono svolte nel sito: la sequenza stratigrafica. Quando si forma uno strato generalmente in esso si trovano materiali che in quel momento erano in circolazione: i contenitori utilizzati per il pasto, la moneta caduta all'operaio che faceva il pavimento, gli oggetti buttati nel terrapieno,…, i più recenti insieme a quelli più antichi Gli archeologi sanno datare gli oggetti antichi, sanno quindi quando sono stati realizzati (come noi sappiamo in che anno è stato prodotto un determinato modello di cellulare o un paio di pantaloni con uno specifico taglio) e dunque possono risalire a quando quello strato si è formato e proporne una cronologia. In questo modo la sequenza stratigrafica diventa una sequenza cronologica di attività e dunque la storia del sito. La più diffusa classe ceramica di età romana, tra quelle di lusso, in epoca repubblicana era la cd. vernice nera. Si tratta di vasi rivestiti di una specie di vernice nera, brillante, che spesso riportano il marchio di fabbrica del fabbricante che le aveva realizzate. I coloni romani di Potentia dunque appena gunti, nelle giornate speciali o in presenza di ospiti usavano questi vasi che fabbricavano in complessi artigianali di grandi dimensioni probabilmente vicino alla città. Successivamente, alla fine della repubblica cambiò la moda, i vecchi vasi neri non piacevano più e furono sostituiti da vasi di colore arancione brillante, prodotti soprattutto nell'attuale Toscana, detti "sigillate italiche", perché le decorazioni spesso erano impresse con un sigilum. Queste ceramiche venivano esportate insieme alle derrate alimentari che dall'area Tirrenica si diffondevano in tutto il mondo roman, ed infatti la sigillata la troviamo abbondante a Potentia, quando la città visse il suo massimo splendore, e contemporaneamente in tutto il Mediterraneo. Dopo il II sec. d.C., i mercati Africani di olio, vino e grano sostituirono quelli tirrenici e si diffuse, con i prodotti che dall'Africa raggiungevano l'Italia ed anche Potentia, una ceramica sigillata detta "sigillata africana". Era simile a quella italica ma meno brillante e con forme diverse, legate a nuove tradizione e pratiche di consumo dei prodotti alimentari. Quando Potentia terminò la sua lunga vita era questa la ceramica dei giorni di festa
Lo scavo è una operazione molto delicata e la sua realizzazione avviene attraverso l'applicazione di un rigoroso metodo scientifico (il metodo stratigrafico), il cui obiettivo è la ricostruzione della storia. I singoli strati, le unità stratigrafiche, vanno individuati e distinti sulla base della loro consistenza, colore e composizione, altrimenti si mescolano le tracce delle diverse attività e soprattutto i materiali ad esse connessi che ci serviranno per datare la sequenza stratigrafica e ricostruire la storia. Ogni unità stratigrafica prima di essere asportata viene quindi numerata con un cartellino. Il numero serve anche per associare in fase di archiviazione i materiali allo strato, senza fare confusione La terra va tolta con molta delicatezza, con la trowel (la cazzuola inglese) ed altra attrezzatura che garantisce delicatezza nel lavoro, come ad esempio lo specillo, la spatola, il pennello, la scopetta di saggina, che ci consentono quindi di fare attenzione ed evitare confusioni fra strati. Lo scavo è dunque una operazione distruttiva (scavata la sequenza stratigrafica non si può più ricostruire in maniera tale che gli altri possano verificare il nostro lavoro, come avviene invece ad esempo per gli esperimenti di chimica, fisica,…), per questo ogni passaggio deve essere documentato in forma scritta (diario di scavo e schede delle unità stratigrafiche), grafica (piante e sezioni delle singole unità stratigrafiche) e fotografica.
Le navi romane generalmente non erano di grandi dimensioni e, tenuto anche conto delle limitate conoscenze scientifiche e dei limiti alla capacità di orientarsi, si preferiva una navigazione di cabotaggio, nella quale le coste erano sempre "a vista" e tutti le notti ci si fermava in porti o approdi. Per questo tutte le coste erano ricche di luoghi adatti all'attracco di piccole navi. Solo quando era strettamente necessario si affrontava il mare aperto. Lungo l'Adriatico i passaggi preferiti per andare da Est ad Ovest, e viceversa, erano dunque quelli in cui il percorso era minore e dunque meno rischioso: il Canale d'Otranto ed il percorso tra Zara (in Croazia) ed il Monte Conero nelle Marche, molto vicino al porto di Potentia.
Molto spesso non pensiamo che tanti dei prodotti e oggetti che oggi fanno parte della nostra vita quotidiana e delle nostre tradizioni culturali sono stati importati; magari qualcuno all'epoca ha protestato a causa "dell'importazione di prodotti che non facevano parte della cucina tradizionale". Le navi romane trasportavano generalmente i prodotti dell'agricoltura, e della dieta mediterranea: grano ed anfore con vino, olio e salse che venivano scambiati con l'uso di monete, garantite dalle potenti zecche imperiali. Sembrerà strano, ma l'olio solo in parte serviva per condire, veniva usato invece anche per altre funzioni, ad esempio bruciato per illuminare. Le anfore hanno una strana forma perché così potevano essere meglio impilate nella stiva delle navi, ma negli spazi che rimanevano vuoti si potevano mettere merci più piccole, che spesso costavano molto, come ad esempio le ceramiche a vernice nera, e le sigillate. Grazie a questa merce, detta d'accompagno, molto spesso si riesce a capire da dove veniva il relitto di una nave, ad esempio dalla Toscana (se troviamo sigillate italiche) o dalla Tunisia (se troviamo sigillate africane). Spesso le navi portavano anche carichi di altri materiali che i romani normalmente commerciavano, come ad esempio marmi, anche semilavorati, stoffe, laterizi, legno e metalli.
Databile alla fine del II sec. a.C. Il modello è stato realizzato da Abaco Società Cooperativa in collaborazione con il Comune di Porto Recanati e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, nell'ambito del Progetto DCE PlayMarche 2.0 coordinato dall'Università di Macerata con il coordinamento operativo di PlayMarche Srl.